Monday, January 02, 2006

MARIANOC

MARIANOC

Sunday, December 11, 2005

SIAMO IN FASE DI ALLESTIMENTO

Wednesday, July 13, 2005


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Sunday, July 10, 2005

Saturday, July 09, 2005

MARIANOC




MARIANOC

UN CARO RICORDO DEI MIEI GENITORI

COSI FELICI COME NELLA FOTO VI VOGLIO RICORDARE , VI PORTERO' SEMPRE NEL MIO CUORE

I MIEI ANTENATI

LE ORIGINI
  • Vi sono fonti documentarie che provano con certezza come la storia di Pescara inizi almeno cinque secoli prima della nascita di Cristo. E' probabile, però, che vi fossero
    insediamenti ancora più antichi di qualche secolo.L'abitato, situato sulla
    sponda meridionale del fiume Aternus, era noto come Ostia Aterni (ma in alcuni
    documenti anche come Aternum).La sua posizione geografica e l'approdo portuale
    che poteva offrire alle imbarcazioni mercantili, ne decretarono la sua fortuna.
    Infatti fu a lungo porto comune non solo dei Vestini, che probabilmente la
    abitavano, ma anche di altre popolazioni quali Marrucini e Peligni.Dopo la
    conquista da parte dei romani, il ponte in muratura da loro costruito avrebbe
    reso ancor più agevoli i contatti di Ostia Aterni/Aternum con
    l'esterno.L'abitato, punto terminale della ViaTiburtina Valeria, divenne
    principale punto d'imbarco verso i possedimenti in Dalmazia.Ciò determinò la
    relativa crescita del nucleo urbano, la cui ampiezza è attestata anche da una
    vasta necropoli rinvenuta sulla riva sinistra del fiume, nell'area Rampigna.
    Ostia Aterni perse importanza ericchezza in coincidenza con ladissoluzione
    dell'Impero Romanod'Occidente nei secoli IV e V d.C.
  • DAI BIZANTINI ALLA CONQUISTA NORMANNA
  • Seguì la breve ma importante stagione sotto i bizantini, che, nel 538 d.C., la fortificarono e ne recuperarono le strutture portuali e il sistema stradale. Essi tennero la città fino all'anno 650 circa. Durante il periodo bizantino si ebbero distruttive scorrerie da parte dei Goti e soprattutto dei Longobardi che tentarono la presa dell'abitato e incendiarono gran parte del nucleo urbano.Dopo il passaggio sotto i Franchi (intorno all'anno 801), l'edificazione di numerose chiese cristiane ne attesta un'indubbia vivacità, di cui il culto di S. Cetteo arrivato fino a noi è la prova più eclatante. Nei quasi tre secoli successivi l'abitato si ridusse di molto, fino a fare di Aternum un borgo in parziale stato di abbandono. Il sistema viario era in buona parte inutilizzabile, mentre quello commerciale languiva, sfavorito anche dall'insabbiamento del porto e dalla progressiva rovina del vecchio ponte romano (crollato non si sa bene in quale epoca).Dopo il 1000 - quando cominciò ad essere chiamata comunemente col nome di Piscaria - in essa riapparirono strutture in muratura e soprattutto si consolidò una nuova cinta muraria. Anche la vita sociale ed economica degli abitanti (stretti tra un'agricoltura resa difficile dalla paludosità delle terre circostanti e l'impossibilità di rinnovare l'importanza commerciale che Ostia Aterni aveva nel sistema romano) diede segni di modesto miglioramento.Quando - attorno al 1140 - le truppe normanne entrarono in Piscaria, cominciò un periodo di progresso per la città. Si ebbe un forte ripopolamento, ma, soprattutto, si iniziarono i lavori di recupero, consolidamento ed espansione del porto, che diede nuovo impulso ai commerci.
  • DAGLI ANGIOINI AGLI SPAGNOLI
  • Già nei primi decenni del 1200, dopo la conquista imperiale sveva del sud della penisola, ricominciò lo spopolamento.La stessa rovina delle numerose chiese cittadine, delle quali intorno al 1324 rimaneva solo quella di S. Gerusalemme, attesta la diminuzione di 'anime' da curare.Per di più, l'impaludamento dell'abitato raggiunse, tra XIII e XV secolo, livelli insostenibili, gettando la scarna popolazione in condizioni così difficili da farla esentare, per lunghi periodi, dai versamenti fiscali nei confronti del potere regio angioino. L'aria era talmente malsana che un erudito quattrocentesco definì Pescara "sepoltura de' vivi".Dopo gli Svevi, venne il turno della lunga monarchia angioina (1282-1442) e quindi della dinastia aragonese (1442-1492). Ai primi del '500, iniziata la contesa franco-spagnola, la città passò sotto la dominazione della corona di Spagna, destinata a durare due secoli. Per il centro adriatico si trattò di un periodo relativamente favorevole, legato alla sua accresciuta importanza strategico-militare.Proprio a causa di tale importanza strategica, che ne faceva porta Aprutii et sera regni, cioè 'porta' degli Abruzzi e 'chiave' del regno (come sembra si leggesse in uno stemma della città risalente alla metà del '300), Piscaria si trovò a passare nelle mani di vari feudatari e subì le scorrerie di avventurieri, mercenari e capitani di ventura ribelli al potere regio.
  • DA CARLO V A FILIPPO II
  • Nel 1525 l'imperatore Carlo V - che regnava anche sul Mezzogiorno d'Italia - confermò formalmente la signoria sull'antico borgo di Aternum-Piscaria e il relativo titolo di 'marchese di Pescara' ad Alfonso d'Avalos (cugino del famoso condottiere Ferdinando Francesco d'Avalos, detto da tutti "il Pescara", marito di Vittoria Colonna). Il 'marchesato di Pescara', in realtà, era esistito formalmente, come titolo nobiliare, fin dalla fine del '300. Ma da allora l'abitato era appartenuto, feudalmente, alla città di Chieti. Fu dunque solo con Alfonso che gli Avalos presero concretamente possesso del loro feudo pescarese. Lo mantennero, attraverso complicate vicende familiari e di eredità, fino al 1806, quando i francesi avrebbero abolito la feudalità nel Regno di Napoli (essi avrebbero comunque conservato ampi terreni e le loro rendite all'interno del territorio pescarese fino a tempi molto recenti). Dopo la metà del '500 iniziò per il borgo una lenta fase di ripopolamento, intorno ai nuclei antichi, pur se malridotti. Impulso decisivo in tal senso, fu il rafforzamento delle fortificazioni iniziato intorno al 1560 sotto Filippo II e proseguito gradualmente fino alla fine del secolo e poi anche nel '600. Il potere spagnolo si era reso conto che le difese nord-orientali del viceregno non erano adeguate, nonostante la presenza protettiva della fortezza di Civitella del Tronto e, all'interno, del grande castello aquilano. Si stabilì di trasformare Piscaria in vera e propria piazzaforte, a guardia strategica delle vie di comunicazione che conducevano al cuore del Regno. Solo alla fine del secolo la Regia Piazza adriatica poté dirsi davvero fortificata.
  • LA 'RINASCITA' DI PISCARIA
  • partire dagli ultimi decenni del '500, Piscaria cominciò ad essere meta di una relativamente forte immigrazione, sia dall'interno che dall'esterno della regione.La protezione offerta dalle imponenti mura cinquecentesche offrì a molti la possibilità di vivere e commerciare, superando la malsanità dell'aria e l'angustia dell'abitato.La presenza della guarnigione fu un elemento di sicura rendita per attività nate e cresciute proprio per le esigenze militari (approvvigionamento quotidiano, materiale da costruzione, ecc.) e per lo sviluppo ulteriore di altri commerci che a Pescara avevano una tradizione millenaria (come quello del sale). Grazie al presidio militare, inoltre, il potere regio confermò le vecchie esenzioni fiscali. Si trattava, però, sempre di una economia limitata e lo stesso fiume col porto venne visto più come difesa strategica che come possibile fonte di ricchezza commerciale.Parallelamente al ripopolamento della riva destra del fiume Aternus, il '600 vide anche lo sviluppo della riva sinistra di Castellamare, dove gli stessi Avalos misero a coltura nuove terre. Sappiamo che gli abitanti delle due rive, insieme con gli agricoltori delle campagne a sud e a ovest della piazzaforte (i cui nuclei erano definiti come Villa del Fuoco), costituivano un solo comune, retto da un unico governo locale, a dimostrazione che i due luoghi, pur nelle loro ovvie differenze sociali, economiche e urbanistiche, hanno avuto una storia meno separata di quanto si creda.
  • DAGLI AUSTRIACI ALLA REPUBBLICA NAPOLETANA
  • La Real Piazza di Piscaria, nel periodo di massima estensione, ebbe una pianta asette vertici (non troppo frequente nel panorama delle fortificazioni italiane tra '500 e '800), con cinque bastioni sulla riva destra del fiume e due sulla sinistra. Così sviluppata, la piazzaforte costituì fino al 1860 un anello importante del sistema difensivo costiero del viceregno e poi Regno di Napoli. Dagli inizi del '600 alla metà dell'800, l'abitato di Pescara seguì le sorti della propria piazzaforte. Di grande importanza fu il ruolo della piazza quando, nel 1707, si trovò a dover fronteggiare il primo vero assedio della sua storia moderna. Allora la piazzaforte cadde nelle mani degli austriaci dopo un mese d'assedio: si trattava dell'ultimo atto (Napoli el'intero viceregno erano già caduti, solo Pescara e Gaeta avevano resistito) della conquista austriaca del Mezzogiorno spagnolo. Seguì il trentennio di dominazione austriaca e proprio l'atto di chiusura di quella esperienza vide ancora protagonista la piazza di Pescara, stavolta difesa dagli austriaci contro gli spagnoli. Essa cadde il4 agosto 1734 e anche allora la piazzaforte fu l'ultimo avamposto austriaco a cedere, a riprova della solidità delle proprie difese.Il '700, per la Pescara 'austriaca' prima e borbonica poi fu un secolo vissuto in mezzo a forti problemi economici. Inoltre la città ­ che, circondata da terreni paludosi, rimase separata dall'altra sponda del fiume per mancanza di un ponte fino alla seconda metà del secolo -, era sporca e mancava di ogni organizzazione igienica.
  • LA REPUBBLICA NAPOLETANANA
  • nel dicembre del 1798, la guarnigione borbonica della piazzaforte si arrese senza difendersi ai francesi. Quella resa aprì le porte all'esperienza 'rivoluzionaria' della Repubblica napoletana. Anche la tragica fine della repubblica, pochi mesi dopo, vide Pescara protagonista. La piazzaforte, difesa da Ettore Carafa, conte di Ruvo, sostenne un lungo assedio, dai primi di maggio alla fine di giugno del 1799, contro le masse filoborboniche. Dopo controverse vicende, tra cui l'esplosione dell'arsenale cittadino che causò oltre 400 morti, sembra che la capitolazione finale abbia avuto come conseguenza un saccheggio generale da parte degli assedianti penetrati entro le mura, cosa che avrebbe lasciato l'abitato a lungo stremato e ancor più povero. La sanguinosa repressione seguita alla fine della Repubblica napoletana non risparmiò alcuni dei pescaresi che più avevano collaborato in tale esperienza. Gabriele Manthonè, nobile pescarese, fu anzi uno dei maggiori protagonisti della breve stagione repubblicana, assumendovi responsabilità di governo, morendo poi giustiziato a Napoli come lo stesso conte di Ruvo.
  • DAI FRANCESI ALLA RESTAURAZIONE
  • Nel 1806 i francesi tornarono in Italia quando, cacciati i Borbone, divenne re di Napoli Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Pescara, visse questo periodo godendone le influenze positive (abolizionee della feudalità, razionalizzazione della vita amministrativa), ma anche subendone alcuni aspetti negativi. Infatti la piazza fortificata divenne sede di distaccamenti e presidi di soldati francesi ben più numerosi rispetto a quanto accadesse sotto i Borbone. Ciò comportò oneri crescenti per la popolazione, costretta a tassarsi per rifornire la guarnigione.Non contribuì alla salute di Pescara la 'perdita' delle più floride zone sulla riva settentrionale del fiume: nel dicembre 1806, infatti, Castellamare si costituì in comune autonomo.Dopo che per 60 anni aveva fatto parte, insieme a Pescara, dellastessa provincia chietina, essa venne aggregata alla provincia di Teramo. Nel frattempo, trascorso il 'decennio francese', gli ultimi conati del regno di Murat (subentrato a G. Bonaparte) conobbero proprio a Pescara alcune delle fasi principali. Prima vi fu il tentativo insurrezionale anti-francese del 1814, represso nel sangue. Poi, nel 1815, mentre in Francia si andavano consumando i finali 'Cento Giorni' del cognato imperatore, il re Murat dettò proprio da Pescara l'estrema carta costituzionale promessa nel precedente 'Proclama di Rimini', nella quale chiamava tutti gli italiani alla sollevazione contro gli austro-borbonici. Ma quell'avventura fallì, determinando la 'Restaurazione' della dinastia dei Borbone.Pescara, come già successo in passato, fu uno degli ultimi baluardi a cadere. I murattiani si arresero alla fine del maggio 1815 agli austriaci, giunti in soccorso del Borbone, dopo un breve assedio.Ma si trattò di un assedio che fece molti danni per i colpi di cannone sparati dagli assedianti, e che dopo la resa avrebbe riservato alla città, per mano dei soldati austriaci, ulteriori distruzioni materiali e prelievi finanziari per sostentare l'esercito asburgico, oltre che nuovi versamenti al ripristinato Intendente borbonico di Chieti.
  • DALLA RESTAURAZIONE ALL'UNITA' D'ITALIA
  • Per i due centri alla foce del fiume iniziava un periodo caratterizzato da alti e bassi, ma che in generale finì per acuire i secolari problemi irrisolti del sito. Per Pescara infatti rimasero intatte le questioni riguardanti la maleficità dell'aria, le deprimenti condizioni igieniche, l'incapacità di rilanciare le strutture portuali, le difficoltà nell'istituire solidi legami con l'entroterra. Per entrambi i comuni, non si risolsero i problemi legati all'assenza di un ponte; alla cronica situazione debitoria delle amministrazioni pubbliche; ad un'economia di piccolo respiro; al rapporto mai sviluppato col mare e i suoi prodotti; alle alluvioni che periodicamente devastavano il territorio, soprattutto quello pescarese. E se Pescara continuò a rimanere rintanata nella sua piazzaforte - che era nel contempo elemento di rigido controllo sulla vita sociale ed economica degli abitanti ma anche fattore di coesione interna -, Castellamare viceversa non sviluppò mai un suo reale nucleo urbano, che desse un'identità agli sparsi agglomerati contadini e signorili sulle colline a ridosso del mare, né seppe impiantare particolari innovazioni agricole. Il governo borbonico dal canto suo, piuttosto che alleviare tali difficoltà, designò Pescara quale prigione per detenuti politici e comuni (il tristemente famoso Bagno Borbonico).Si dovette attendere il settembre del 1860 perché la città di Pescara, in qualche modo, entrasse anch'essa negli avvenimenti che condussero all'unificazione nazionale italiana. Ma non vi si ebbero particolari tensioni o sollevazioni popolari. La piazzaforte si sfaldò da sé, visto che la sua guarnigione rinunciò a combattere per i Borbone e si disperse. Il 17 ottobre, lungo la strada che lo avrebbe condotto a Napoli, il futuro re d'Italia Vittorio Emanuele II di Savoia si fermò nei centri adriatici a cavallo del fiume. Quattro giorni dopo, il plebiscito meridionale avrebbe fatto anche di Pescara e Castellamare due città italiane, pur se non certamente tra le più evolute e civili.
  • DALL'UNIFICAZIONE ITALIANA AL XX SECOLO
  • Il primo atto del giovane stato italiano che coinvolse Pescara e Castellamare fu la realizzazione della tratta ferroviaria Pescara-Ancona.Quella che nel 1863, alla presenza del sovrano Vittorio Emanuele II, sembrava la semplice inaugurazione di una nuova stazione, di lì a poco avrebbe sconvolto nel profondo la vita dei due centri.Per ragioni ancora oggi controverse, la stazione fu edificata a Castellamare (che da allora assunse il nome di Castellamare Adriatico). Ciò determinò un rapido sviluppo demografico, urbanistico ed economico per il piccolo centro, che si estese verso il mare 'scendendo' dai colli, sulla spinta del suo sindaco Leopoldo Muzii. A Pescara, d'altro canto, le discussioni sull'ubicazione del tracciato ferroviario furono roventi. Gli imprenditori locali, costruttori edili, avrebbero voluto che i binari corressero a valle delle mura; mentre i proprietari terrieri si batterono perché la ferrovia passasse più a monte, tra la città e le colline, in modo da far crescere il valore dei propri terreni. Il prevalere di quest'ultima scelta fece sì che si creassero le premesse perché la città futura venisse 'soffocata' dall'imbuto dei binari, che l'avrebbero tagliata in due, tra i colli e il mare. A fronte di ciò, col tempo anche sulla riva destra la ferrovia portò uno spettacolare aumento del numero degli abitanti: a Pescara, tra 1861 e 1901, la popolazione si trovò più che raddoppiata, superando i 7.000 abitanti (e a Castellamare aumentò del 95%, arrivando a quasi 9.000 unità agli inizi del secolo XX).Altro elemento decisivo nella storia contemporanea pescarese fu il progressivo (tra 1867 e 1910) e indiscriminato abbattimento delle mura cinquecentesche dell'antica piazzaforte spagnola, che era stata per Pescara - nel bene e nel male - ragione di esistenza storica e si era compenetrata con la vita quotidiana della città. Nella convinzione, solo in parte giustificata, che la cinta bastionata impedisse lo sviluppo economico e urbanistico della città, si eliminarono in maniera selvaggia e capillare tutte le tracce storiche della vita di Pescara. Il recupero e il riuso del perimetro fortificato avrebbero potuto non solo mantenere in vita l'identità cittadina e la sua memoria comune, ma anche costituire fattore di attrattiva ambientale e turistica, come avvenuto in tantissimi centri italiani.
  • PRIMA E DOPO LA GRANDE GUERRA
  • Altri problemi delle due cittadine trovarono soluzioni lente e spesso inadeguate. Per esempio, la costruzione di un ponte che finalmente unisse in modo sicuro e stabile le due sponde (ciò non era più avvenuto da un migliaio di anni), produsse polemiche fortissime tra gli amministratori di Pescara e Castellamare, divisi tra coloro che, rifiutando qualsiasi forma di contatto con gli 'odiati' cugini, volevano sorgesse a monte del fiume, e coloro che auspicando una futura riunificazione dei due centri, spingevano per la sua edificazione sulla direttrice della via principale di Castellamare. Alla fine ebbero la meglio questi ultimi ed il ponte di ferro venne ultimato nel 1893 nel sito che rimase invariato fino ai giorni nostri.Oppure si pensi ai problemi legati al rilancio delle strutture portuali che, dopo decenni di discussioni e progetti, cominciarono ad essere edificate solo nel 1910 e, tra mille difficoltà, poterono dirsi conclusi solo nel 1936.O ancora: si rifletta sulle gravi carenze cittadine per quanto riguarda l'igiene pubblica, le infrastrutture sociali, le scuole, la buona amministrazione (molti furono i commissari straordinari governativi per le ripetute bancarotte delle finanze comunali). Il rispetto dell'ambiente continuava a rivelarsi inesistente: ad esempio, il degrado della pineta a sud di Pescara era già vergognoso nei primi decenni dopo l'Unità e, a causa della stessa ferrovia, molti ettari di pini vennero abbattuti senza alcuno scrupolo (già alla metà del '600 quasi 9.000 alberi delle pinete a nord erano stati tagliati per riparazioni alla piazzaforte).A fronte di tali problemi, si presentavano anche fattori positivi. Timidi passi avanti venivano compiuti nell'assistenza ospedaliera. A cavallo tra '800 e '900, inoltre, iniziavano a sorgere sulla sponda pescarese le prime forme di industrializzazione. Castellamare, dal canto suo - pur crescendo in maniera sparsa e disordinata, dotata di pochi servizi pubblici e afflitta da cronica scarsità di acqua potabile - costituiva con le sue spiagge un polo estivo di sempre maggiore attrattiva turistica.Proprio il grave problema dell'acqua corrente e potabile, agli inizi del XX secolo venne avviato a soluzione, nei due abitati. Più rapidamente a Pescara, che dal 1910 venne collegata all'acquedotto della Majella. A Castellamare, invece, solo nel 1923 il problema venne risolto, pur con una portata di molto inferiore rispetto alla sponda destra.La vita cittadina scorreva tra qualche spinta culturale (si pensi ai vari cicli della rivista artistica di Basilio Cascella, nata nel 1899 col titolo di "Illustrazione Abruzzese", o all'inaugurazione del teatro "Vicentino Michetti" nel 1910) e un provincialismo imperante. Su una tale situazione, giunse la Grande Guerra, durante la quale (nel maggio 1917) sulla sponda castellamarese si ebbe un'incursione aerea austriaca che, se provocò pochi danni materiali, fece comprendere come la 'grande Storia' si preparava ad affacciarsi - ancora una volta in modi non pacifici - nella vita dei due abitati. Le grandi tensioni sociali ed economiche del primo dopoguerra. comunque, non fecero che acuire i disagi del quadro fin qui abbozzato. Disagi che furono appena leniti da ulteriori esempi di accelerazione industriale, soprattutto a Pescara, i quali però non apportarono reali cambiamenti strutturali nell'economia locale.
  • IL FASCISMO
  • Si può dire che a Pescara e Castellamare, il processo di controllo sociale e politico da parte del fascismo, giunse a conclusione solo con l'unificazione in una sola città dei due nuclei urbani, tra fine 1926 e inizi 1927.Già gli anni precedenti avevano visto un paio di tentativi velleitari di riunire insieme i due insediamenti, divisi non tanto dal fiume quanto da campanilismi e differenti interessi economici (più commerciale e imprenditoriale Pescara; più legata alla rendita agraria dei propri notabili Castellamare).Intanto, in attesa di trasformarsi in un'unica città, Pescara e Castellamare mostravano il proprio doppio volto. Infatti, a manifestazioni come le giornate folkloristico-commerciali del 1922 o come la "Settimana abruzzese" del 1923 (quando intervenne pure Mussolini tenendo discorsi in entrambi i centri), si affiancarono le prime edizioni della "Coppa Acerbo", competizione automobilistica internazionale che si tenne nel territorio di Castellamare a partire dal 1924. Da un lato, dunque, vi era la 'riscoperta' fascista delle tradizioni ruraliste, dall'altro l'ansia 'futurista' del regime di dare un segno di velocità e di modernità proprio attraverso il perfetto simbolo dei motori da corsa. La "Coppa Acerbo", in sostanza, rappresentando il volto giovanilista dei due abitati, si contrapponeva alla loro faccia agraria, tradizionale e folklorista, ma nello stesso tempo finiva per far convivere i due momenti. Tale manifestazione era intitolata alla memoria di Tito Acerbo, eroe della guerra 1915-18, e (ciò che importa) fratello di Giacomo Acerbo, proprietario terriero di Loreto Aprutino, tra i principali 'ras' del fascismo regionale ed esponente importante a livello nazionale.
  • UNIFICAZIONE E NUOVA PROVINCIA
  • Le fasi che condussero all'unificazione dei due comuni e alla conseguente costituzione della quarta provincia degli Abruzzi fanno parte integrante della retorica cittadina: gli interventi di D'Annunzio e Acerbo, i fin troppo enfatizzati messaggi tra D'Annunzio e Mussolini, l'elevazione ufficiale della unificata città a capoluogo di provincia (regio decreto del 2 gennaio 1927, pubblicato l'11 gennaio), la scelta del nome di Pescara (in luogo di un più neutro Aterno come un onore reso al suo figlio più famoso (quel Gabriele D'Annunzio che comunque era da decenni lontano dal 'borgo natìo' e che fino alla morte avrebbe poi rifiutato di tornarci ad abitare stabilmente).Ciò che conta è avere chiari alcuni punti fermi:1) Pescara provincia non fu un 'privilegio' unico accordato alla città del 'vate' D'Annunzio, bensì rientrò in un più vasto programma di riforma delle amministrazioni locali realizzato dal regime fascista in tutta Italia nel 1925-27, con la creazione tra l'altro di diciassette nuove province.2) I riflessi davvero importanti di questa operazione politica non si ebbero nelle pur acute tensioni locali provocate soprattutto dai castellamaresi, che si sentivano più 'annessi' che riunificati, bensì nelle conseguenze che ebbero a livello regionale. La quarta provincia, infatti, alterò i precari equilibri che negli Abruzzi duravano da secoli e diede l'ultima spinta allo spostamento del baricentro regionale dai monti verso l'asse marittimo. 3) Le decisioni sui due centri adriatici furono prese dall'alto, dai massimi vertici del fascismo. Perciò ha poca o nulla importanza stabilire col bilancino la percentuale di influenza su tale scelta da parte di un Acerbo o di un D'Annunzio.4) Al di là della contingente spinta data dal fascismo, era ormai la storia medesima che premeva, in modo inevitabile, verso la riunificazione dei due abitati. Rimanendo anacronisticamente divisi, essi sarebbero stati destinati a non tenere il passo con i cambiamenti della vita contemporanea, fatta di industrializzazione, di 'massificazione', di interdipendenze sempre più accentuate.
  • LA CITTA' FASCISTA
  • La Pescara che il 10 giugno 1940 ascoltò alla radio la dichiarazione di guerra di Mussolini, era una città urbanisticamente diversa ­ in particolare nella sua sponda 'castellamarese' - dai due nuclei urbani confluiti insieme tredici anni prima. Il centro urbano divenne, più di altri, un laboratorio per la politica urbanistico-architettonica del regime: esso infatti simboleggiava la 'città nuova', 'futurista' nella sua ansia di modernità, giovane e 'giovanilista', città dagli slanci dannunziani e dai rapidi ritmi di cambiamento. Il numero di edifici costruiti fu così elevato che molti aspetti fisici di tali cambiamenti sono giunti fino a noi e segnano il volto attuale della città, ma è altrettanto indubbio che gli interventi del regime furono soprattutto monumentali e riguardarono la parte di rappresentanza, amministrativo-politica, della città. Nuovo impulso fu dato alle strutture portuali che fecero registrare relativi, ma indubbi incrementi nel volume di traffico. Furono edificate nuove scuole, come il Liceo Ginnasio, ed un nuovo, anche se non del tutto adeguato, ospedale. Ma molti dei problemi più gravi della città rimasero irrisolti. Se si legge la pur ovattata stampa di regime a Pescara, si incontrano lamentele per la mancanza di servizi pubblici, per la carenza di igiene, di sistemi fognanti, di illuminazione, per il ripetersi di piene del fiume devastanti, per le strade non asfaltate, insopportabilmente polverose d'estate e impraticabili per il fango d'inverno, per le tensioni sociali ed economiche provocate dal fatto che il regime non toccò le vecchie articolazioni di classe e il notabilato locale e non seppe dare impulso alle potenzialità cittadine, per la mancanza di regole urbanistiche che fecero proliferare la speculazione edilizia privata, per la mancata valorizzazione turistica della spiaggia.D'altronde Pescara, non dimentichiamolo, era pur sempre - al di là del fascismo - una città provinciale, che da secoli lamentava la carenza di una classe dirigente degna di questo nome, che aveva un profilo culturale basso.A fare da contrappunto a questo quadro non certo esaltante, vi erano però alcune caratteristiche della vita cittadina che rendevano Pescara comunque un luogo con un proprio fascino inconfondibile: i viali alberati, i grandi spazi, l'odore del mare come presenza costante, nella vecchia Castellamare; il borgo raccolto, le tradizioni, la suggestione delle pinete, nella vecchia Pescara. Tutte cose scomparse, ma che senza dubbio rappresentano il nucleo principale della memoria collettiva, lo spunto per ripensare alla perduta 'identità' pescarese.
  • I BOMBARDAMENTI SULLA CITTA'
  • Tra agosto 1943 e giugno 1944 le generali vicende nazionali e internazionali si trovarono di nuovo a cozzare in maniera violenta contro Pescara. Ma stavolta ciò avvenne in una misura tanto tragica da non trovare riscontro in altri avvenimenti del passato. Il 31 agosto 1943, in tre ondate successive, aerei statunitensi sganciarono il loro carico di bombe. Lo fecero indisturbati, poiché la città era dotata di scarsa difesa antiaerea. Le distruzioni furono rilevanti e le stime dei morti oscillano tra un migliaio e 1800. Più di quella prima incursione aerea, ebbe effetti traumatici la seconda, che siverificò il successivo 14 settembre, quasi a spegnere del tutto le illusioni, nate dall'armistizio dell'8 settembre, che la guerra fosse finita. I danni furono di nuovo ingenti e la stazione venne distrutta.Pure in questo caso, non sappiamo con precisione quante furono le vittime, ma è certo che si trattò comunque di un numero impressionante, se lo si valuta sulla scala cittadina: in totale le stime oscillano tra mille e duemila morti.A quel punto, Pescara cominciò a svuotarsi, anche perché su di essa continuarono gli attacchi aerei (16 e 17 settembre, 8 dicembre). Gli abitanti fuggirono, spesso su mezzi di fortuna, nei paesi dell'entroterra. Nel drammatico e gigantesco fenomeno del cosiddetto sfollamento, che in Abruzzo coinvolse centinaia di migliaia di persone, la presenza dei pescaresi fu uno degli elementi quantitativamente più rilevanti.Sul perché di tali ripetuti bombardamenti proprio su Pescara, molto si è polemizzato. Ufficialmente gli Alleati intendevano colpire anzitutto il nodo ferroviario (Pescara, dunque, nata proprio intorno alla ferrovia, 'moriva' - seppur temporaneamente - a causa della sua presenza) e poi distruggere la grande via di comunicazione adriatica che tagliava longitudinalmente in due la città, ma in definitiva si trattò di bombardamenti per lo più inutili che andarono a colpire soprattutto la popolazione civile. Pur nella loro gravità, però, concentrare l'attenzione solo sulle colpe degli anglo-americani, rischia di far passare in second'ordine le vere cause che avevano condotto la città al punto drammatico in cui si trovò: l'alleanza italo-tedesca, e le responsabilità dei nazifascisti che avevano scatenato un conflitto di quelle proporzioni.
  • LO SFOLLAMENTO E LO SCIACALLAGGIO
  • La città, ridotta a un cumulo di rovine, in gran parte deserta e ancor più desolata dopo che il comando tedesco (nel febbraio 1944) ebbe dato l'ordine di sfollamento generale, rimase perciò in preda allo 'sciacallaggio' dei saccheggiatori, che la svuotarono di tutto ciò che era possibile rubare. È nella memoria di migliaia e migliaia di pescaresi l'immagine del loro ritorno in case (quando si aveva la fortuna di ritrovarle in piedi) ridotte a vuoti scheletri. Subirono la medesima sorte non solo gli edifici privati, ma anche quelli pubblici e le banche. Quante fortune private nacquero proprio in quei giorni ? Quanti seppero speculare nei mesi di guerra e poi subito dopo, nei 'mercati neri' del dopoguerra, grazie appunto al 'bottino' raccolto dirante le tragiche vicende belliche cittadine ?L'agonia finale di Pescara venne completata nella tarda primavera del 1944, quando tedeschi e neofascisti in ritirata minarono le spiagge, fecero esplodere molti edifici pubblici, distrussero il ponte 'Littorio' e le strutture portuali. Tali ultime violenze, avrebbero fatto sentire i loro tragici effetti per molto tempo, non solo perché portarono a compimento la rovina cittadina, ma anche perché, per decenni, molte furono le vittime che saltarono in aria calpestando mine inesplose.Quando dunque le truppe indiane dell'esercito britannico entrarono per prime a Pescara, nel giugno '44, lo spettacolo era spettrale. Se il numero dei morti si aggirava intorno alle tremila unità e forse anche superiori (è in un certo senso emblematico per una città come Pescara, sempre pronta a dimenticare velocemente il proprio passato, che nessuna amministrazione abbia mai sentito il bisogno di effettuare un reale conteggio dei propri morti), le distruzioni materiali furono di assoluto rilievo anche su scala nazionale: tra il 70 e il 75% circa degli edifici aveva subito distruzioni in misura più o meno consistente. Insomma, la città era di nuovo all' 'anno zero'. Era necessario ricominciare daccapo.
  • IL SECONDO DOPOGUERRA E LA RICOSTRUZIONE
  • Pescara era tornata alla pace e alla vita democratica. Ma lo scenario materiale, economico e sociale che si presentava agli amministratori della città era segnato da gravi disastri: le attività economiche ridotte al minimo, le macerie come principale panorama cittadino, i 'senza tetto' che si contavano a migliaia, le comunicazioni difficili, a cominciare da quelle tra le due sponde. Due furono i fattori essenziali, collegati comunque tra loro, che permisero al centro adriatico di risollevarsi in tempi relativamente brevi. Da un lato l'impulso ricevuto dal settore edilizio, vero motore trainante dell'intera storia contemporanea pescarese. Dall'altro il grande flusso immigratorio che portò a vivere a Pescara un numero sempre crescente di persone provenienti non solo dalle zone interne dell'Abruzzo, ma anche da molte altre aree italiane.
  • In virtù di questi due fattori, la città vide grosso modo raddoppiare, nei vent'anni successivi alla guerra, il proprio patrimonio edilizio e conobbe un aumento di popolazione straordinario, che condusse i residenti dal numero di 68 mila circa nel 1946 ai 122.000 del 1971. Per entrambi i casi si trattò di percentuali di crescita quantitativa che non ebbero eguali in tutta la penisola.Ma una tale crescita quantitativa non portò con sé un'altrettanto apprezzabile qualità. Essa avvenne in maniera caotica, nella più totale assenza di regole o nella trasgressione di quelle esistenti.Emblematiche, in tal senso, sono le complesse e non certo edificanti vicende del piano regolatore. I due piani del dopoguerra, infatti, (del 1947 e del 1956) - redatti tra gli altri da Luigi Piccinato, uno dei più insigni architetti-urbanisti italiani dell'epoca -, furono dapprima e poi definitivamente stravolti. Da allora, la mancanza di norme edilizie e urbanistiche che la proteggessero, portò alla totale mancanza di razionalità costruttiva. Pescara, quindi, da possibile città a misura d'uomo, si ritrovò coperta da una colata di cemento che aveva alle spalle gli interessi e le speculazioni dei privati piuttosto che il bene pubblico e gli interessi collettivi. Da allora, per Pescara iniziava davvero un'altra storia, con le sue luci e le sue ombre, che l'avrebbe condotta al ruolo di controversa 'metropoli' dell'Abruzzo, ma che spetterà ad altri raccontare.

Friday, July 08, 2005


corso vittorio emanuele
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L'albergo del Globo
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mariano
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Corso Manthonè
PESCARA

LA NOSTRA FESTA DELLA BIRRA



  • LA FESTA DELLA BIRRA NON E' SOLO IN GERMANIA
  • Robero (detto Aidy) Pescara 2004


Questa si che è sete su gentile concessione da Vittorio detto IL MONNEZZA

CIAO SONO SU INTERNET



CIAO AMICI DI TUTTO IL MONDO

Wednesday, July 06, 2005

LE FOTO CURIOSE



L' UOMO DAI BAFFI DI FUOCO



LA DONNA DAGLI OCCHI DI FUOCO